Il forte legame fra produzione industriale e visione artificiale
Risulta pressoché impossibile, attualmente, quantificare il numero di innovazioni che vengono introdotte sul mercato dell’industria e della tecnologia su scala quotidiana. Quello che ancora ci sorprende, tuttavia, è il modo. La quantità di produzione continua a crescere in misura non soltanto esponenziale, ma anche proporzionale alla qualità della produzione stessa. In tutto questo, che ruolo gioca la visione artificiale?
Banalmente, lo si può riassumere con un esempio: come era la realtà che conosciamo oggi, quando gli strumenti di misura e di valutazione erano esclusivamente i nostri occhi?
Proviamo ad immaginare i processi di studio e di analisi, il modo in cui venivano concepiti ed applicati prima della diffusione dei sistemi di visione artificiale. La scienza e la medicina erano arti fallibili, più affini forse alla magia ed all’esoterismo. Sicuramente, non erano assimilabili a discipline in grado di determinare non soltanto la qualità della vita di un uomo, ma anche la sua durata.
Qualcuno sostiene che il punto di svolta del processo evolutivo sia da ricondursi alla nascita del primo microscopio.
Incantevole e grezzo prototipo per moderni sistemi di visione artificiale, il microscopio permise all’uomo, per la prima volta, di guardare oltre. Per davvero. Oltre ciò che la vista gli suggeriva. Oltre le credenze popolari. Oltre quello che il tatto gli indicava e la mente acuta insinuava. Oltre l’apparenza, fino al cuore della sua stessa natura.
Senza lo studio delle particelle, non avremmo sistemi di visione artificiale in grado di consentire alla vista umana di penetrare attraverso i tessuti e gli elementi. La scienza, la tecnologia, l’industria e la medicina non potrebbero avvalersi di strumentazioni moderne ed efficaci, costantemente all’avanguardia. Perché oltre il nostro quotidiano, le applicazioni dei più versatili sistemi di visione artificiale hanno permesso di ottenere risultati che fino a qualche anno fa sarebbero stati irrealizzabili. Forse addirittura inimmaginabili.
Basti pensare ad alcuni dei traguardi ottenuti di recente.
- L’utilizzo di veicoli sottomarini autonomi, dotati di strumentazione avanzata, ha permesso di individuare la carcassa di un sommergibile considerato ormai disperso. La sua profondità, pari a novecentoventi metri sotto il livello del mare, aveva fino a questo momento reso le ricerche impossibili. Questo contestualmente all’incapacità, da parte di sistemi più datati, di distinguere forme precise sotto una così ingente quantità d’acqua ed in assenza di luce.
Possiamo considerare, questa, una prova inattaccabile della qualità dei servizi che buoni sistemi di visione artificiale sono in grado di offrire. Ma anche una riprova, a beneficio dei più scettici, del fatto che il connubio tra uomo e macchina sia possibile. E che possieda vantaggi che non possono che farci guardare con curiosità e partecipazione a tutte le future innovazioni.
Quello che fanno i moderni sistemi di visione artificiale è creare layers. Ovvero strati di profondità variabile attraverso cui elaborare soluzioni visive che riescano a parificare, e possibilmente superare, la qualità del colpo d’occhio umano.
Ma per fare in modo che i sistemi di visione artificiale potessero rivelarsi così precisi è stato necessario abbandonare i rigidi sistemi mentali tradizionali ed accogliere un più flessibile gioco di prospettive, profondità, variabili e previsioni. Rendere la macchina capace di guardare, e poi insegnarle come estrapolare da ciò che vede solo quel che è necessario al fine di completare il compito che le è stato assegnato.
- La creazione di velivoli in grado di volare senza un pilota effettivo che li manovri dall’interno. E, contestualmente alla loro diffusione, la creazione di mappature aeree e sistemi di rilevamento in grado di impedire la collisione fortuita tra più velivoli di passaggio nella stessa area.
Le macchine non ci sostituiscono. Le dotiamo di occhi e le sfruttiamo per fare ciò che faremmo noi stessi, ma con un dispendio di energie fortemente ridotto. Se non inesistente.
Che cosa mancava, all’intelligenza artificiale, per poter interagire con la nostra realtà?
Gli occhi. La nostra concezione di realtà espressa in un linguaggio tecnologicamente comprensibile.
Avremmo potuto inserire fin da subito una schiera di automi a gestire la differenziazione tra gli elementi da conservare e quelli da scartare, al termine di procedimento industriale. Ma come avremmo spiegato loro, o mostrato, le caratteristiche a cui fare riferimento per applicare la distinzione di cui avevamo bisogno, senza sistemi di visione artificiale?
Un uomo fa affidamento sulla propria vista e sulle classificazioni che è in grado di applicare, siano esse innate o apprese nel corso della crescita. Riconosce difetti, differenze, discrepanze. Applica una selezione e nel tempo di pochi istanti è in grado di riconoscere un pezzo difettoso in mezzo a dieci perfetti. Anche laddove il difetto si riducesse ad un particolare quasi invisibile, del tutto trascurabile.
- La creazione di macchinari agricoli in grado di generare una propria mappatura del campo e, attraverso quella, muoversi in sicurezza tra le piante ed il raccolto. Delle piante sono poi in grado di determinare maturità e problematiche in modo da agevolare, eventualmente, un intervento tempestivo.
Fondamentale tanto per la grande distribuzione quanto per il piccolo agricoltore, questo sistema permette di monitorare costantemente le evoluzioni del raccolto ed intervenire laddove fosse necessario, riducendo drasticamente i costi delle perdite.
Questa capacità è assimilabile a quella precedentemente riscontrata, nell’adattare i moderni sistemi di visione artificiale agli strumenti radiologici e diagnostici della medicina. È attraverso un monitor, infatti, che siamo adesso in grado di rilevare patologie interne, lesioni o malformazioni, mancanze, alterazioni.
Che cosa c’è dietro questa rapida e vorticosa crescita della qualità di analisi e previsione dei dati?
Quello che chiamiamo Deep Learning.
Il suo scopo, come suggerisce la forma di “apprendimento profondo” a cui fa riferimento, è quello di automatizzare e possibilmente agevolare lo studio ed il confronto di più insiemi di dati.
Si tratta, ad esempio, del principio che permette agli smartphone di riconoscere un volto od un tratto grafico e trarne conclusioni complesse o molto semplici (come sbloccare uno schermo, confermare una password, identificare il proprio utente..).
Il Deep Learning, al pari delle esperienze acquisite da un bambino durante la crescita, permette all’intelligenza artificiale di spaziare oltre il tradizionale apprendimento meccanico. Tramite il Deep Learning ottiene nozioni che sarebbero altrimenti precluse. Queste nozioni vengono convogliate attraverso un sistema che ha preso modello, come è facile immaginare, dalle reti neurali di cui si avvale l’uomo, codificate mediante algoritmi.
Un’intelligenza vera e propria, dunque, in grado di elaborare immagini od immagazzinarle per essere raffrontate successivamente. Ma non solo. In grado di determinare se ciò che vede sia corretto o difettoso, e se il margine di errore sia tollerabile o determinante.
Contestualmente ai sistemi di visione artificiale, questa innovazione consente la creazione di un numero di stratificazioni di pensiero sufficiente a generare quelle che nell’elaborazione umana dei dati sono assimilabili alle astrazioni. Più astrazioni, più variabili la macchina è in grado di contemplare, più numerose saranno le circostanze che è in grado di anticipare, scartare od affrontare.
La possibilità già insita nella sua natura meccanica di memorizzare i dati che acquisisce, poi, consente di accedere ad un database di “esperienze” formative. Memorie di contesti precedenti a cui potrà attingere per generare un sistema di crescita e miglioramento del tutto affine a quello umano.
Abbiamo creato le macchine. Adesso, cerchiamo di dare loro la capacità di vedere con i nostri occhi e trarre da ciò che vedono considerazioni simili alle nostre. Se non oggettivamente migliori.